Marigold

Sono incredibili piccoli miracoli. A fine estate passeggi tra le case di uno di questi minuscoli paesi di bassa montagna e noti a bordo strada una calendula ancora fiorita, mentre le altre sono già andate. Così raccogli un po’ di quei piccoli, minuscoli semi uncinati e quando torni a casa li metti a dimora perché germoglino a primavera.
Loro però non sentono il freddo, nascono piccole piantine che presto verranno gelate dall’inverno; ma l’inverno è fuori allenamento, questa partita la perde e le piante passano indenni novembre, dicembre, gennaio, ed ecco che a fine febbraio la sorpresa arriva inattesa.
Un altro bocciolo sta per portare nuovi regali.
Io, nel mio piccolo, amo incondizionatamente i semi.
I vegetali, mi dispiace doverlo sempre ripetere, sono i soli veri degni abitanti di questo pianeta.

Le gallinelle

Quelle giornate in cui sfiletto le gallinelle penso a Fabio Montale; immagino, allora, di avere un cabanon in uno dei calanchi tra La Ciotat e Marsiglia, mi verso un pastis, sgranocchio un pezzo di pane e un’oliva mentre la radio passa Art Pepper; il 51 mette di buon umore, così come il profumo dei capperi e dell’origano racccolto l’estate passata pensando a tempi meno facili, a un dopodomani di momenti più duri, a quando il freddo e gli eventi ti faranno mordere stretto le labbra e la sera lo scotch sembrerà l’unica distrazione.
Fabio potrebbe anche arrivare da un momento all’altro; stapperei un rosé, metterei in tavola erbe di campo, radicchio, crostini di pane tostato e un po’ d’aglio, che fa festa. Sarebbe bello fare due chiacchiere; come se l’estate stesse per scoppiare, come se i giovedì fossero tutti così, con un sax che copre le brutture del mondo e il profumo di pesce e pomodori a scacciarne l’insopportabile fetore.
Ma Montale non è qui. Lui esiste solo nei libri. Il mondo è un gran casino, le notizie peggiorano ogni giorno, lo scotch fa capolino dalla credenza e il futuro sembra inciampare, zoppo e barcollante, senza una meta ben precisa.
Fortuna che ci sono le gallinelle. La tapenade. Il pastis.
Certezze dure da sfiancare.
È così che andiamo avanti; a tastoni, sorridendo, cercando di non inciampare troppo spesso.

Centoquarantamila

Questa è la rotta di un C17 dell’US Air Force che è passato quasi su casa mia poco fa.
Il C17 Globemaster III è un bestione da quasi centonovanta tonnellate con quattro turboventola che per andare da Ramstein a Brescia ha circumnavigato la penisola iberica; un po’ come se io per andare a Pietrasanta passassi da Belgrado.
Il problema è che per fare questo furbissimo percorso vista mare ha bruciato circa centoquarantamila litri di JP8, ovvero kerosene avio.
Centoquarantamila.
Io non condivido l’aria di sufficienza di chi di fronte ai grandi consumi come questi se ne sbatte dell’ambiente e pensa che i piccoli gesti non servano a nulla; non credo che ci sia un complotto delle lobby dell’elettrico né che qualcuno si sia inventato un’emergenza ambientale per pilotare il mercato o l’opinione pubblica.
Chi lo pensa, probabilmente vede la scelta di prendere l’auto una volta in meno come una pisciatina nell’oceano e chi la mette in pratica come un fesso; ma non è la CO2 risparmiata a fare la differenza.
I milioni di piccoli gesti servono non tanto a salvare il pianeta come azione diretta, ma a formare le persone a una coscienza ambientale e sociale che ora non c’è. Perché nei miei sogni forse un giorno la società non permetterà nemmeno l’esistenza di questi inutili bidoni militari bruciakerosene del cazzo.
Ma è tutto vano se il bambino vede il padre sbattersene perché “tanto gli aerei inquinano mille volte di più”. E da grande voterà, e si farà governare da altrettanti imbecilli che continueranno a permettere tutto questo.
È il modo di fare del chi se ne frega, e a dirla tutta mi fa più paura del cambiamento climatico.

Croz

Ventisette gradi.

L’ideale per nuotare, fuori non si arriva a trenta.
Prima di cena ti rimette al mondo, virata dopo virata, col fiatone dei cinquant’anni e di un troiaio di fisico fuori allenamento. Ma il tempo regge, settembre è sempre settembre, un pastis prima di mangiare, Croz che canta con Sarah Jarosz e tutto sommato potrebbe andare peggio.
Se solo fosse ancora qui potremmo sperare in un altro disco.
O anche solo una chiacchierata.
Un cenno.
Ci manchi, Croz.

#swimming #davidcrosby #sarahjarosz #september

L’estate, le more e un bombo

È estate quando ti ricordi di andare a controllare se le more sono mature. Allora gli scarponi vanno a passo deciso ai tuoi cespugli preferiti, lassù, dove si vede quasi tutto e i gruccioni sono più vicini tanto che non li senti solo cantare ma riesci quasi a percepirne i colori.

Le more ci sono, profumano di buono; ricordati di lasciarne un po’ per i piccoli roditori, gli uccelli e gli insetti, tanto la metà è ancora acerba e nel giro di una settimana o poco più potrai tornare a raccoglierne altre. Nel frattempo passa una signora, ha l’accento dell’est Europa e mi saluta, così scambiamo due parole; anche lei viene a raccoglire le more, ma oggi ha colto solo fichi e me ne offre un po’, ma a me basta la gentilezza, un sorriso e un saluto.

Salgo su alla vecchia casa diroccata perché è anche stagione di origano e l’inverno è lungo; ne distribuirò un po’ a chi apprezza e userò il resto in cucina, fino al prossimo agosto.

Su un fiore di scabiosa un bombo rosso sta facendo merenda. Conversiamo un po’, per quel che ci è possibile, poi torno sulla strada; rivesto il pennato, chiudo il secchiello, mi asciugo la fronte e scendo verso la fontana. Se le mattine fossero tutte così, potrei anche abituarmici.

The Last Waltz

Neanche un mese fa ero al cinema.
C’ero perché proiettavano “The Last Waltz” e l’occasione di vederlo sul grande schermo era ghiotta. Trentacinque anni fa l’unica chance era una seconda serata sulle tv private, in televisori francamente imbarazzanti.

Sentirli e vederli è stato emozionante, nella sala quasi completamente vuota, con un ventilatore ad alleviare il caldo di luglio; era un po’ come essere lì.
Lo sguardo spiritato di Richard Manuel, Levon Helm che canta “The Night They Drove Old Dixie Down”, il groppo in gola per qualcuno che non c’è più e che ti piacerebbe fosse ancora tra noi; la solennità di Garth Hudson e le sue incredibili performance all’organo. L’inconfondibile silhouette di Joni Mitchell che canta i cori fuori scena, prima di salire sul palco e incantare tutti; l’irruenza incontenibile di Van Morrison; un Neil Young quasi imbarazzato.

E Robbie Robertson.
Inossidabile.
Un leader in disparte, una roccia che non ha bisogno di mettersi in mostra.
Ecco, Robbie Robertson per me era una sorta di icona, la cui scomparsa non poteva neanche essere contemplata. Invece ieri se n’è andato, offuscato da molte altre notizie, scomparse celebri, disastri naturali, guerre.

In disparte, come sul palco.
E io sono un po’ più triste.

Blues time

East Top Blues harmonica with case

Scegliere un’armonica non è mai stato semplice. Le opzioni in commercio sono praticamente infinite e i prezzi variano dai tre o quattro euro delle armoniche da bambini in do fino a cifre improponibili che solo un professionista può e vuole permettersi. In genere però le marche intorno alle quali ruota la scelta di una buona armonica sono sempre le stesse: Hohner, Lee Oskar, Fender, Seydel, Suzuki…
Eppure ho voluto dare una chance alle East Top. Viziati dal luogo comune secondo il quale i prodotti cinesi debbano essere di scarsa qualità occorrerebbe oggigiorno riesaminare la situazione per rendersi conto che in pratica il 99% degli oggetti che usiamo è prodotto in Cina; se c’è una certezza, è che una buona parte di questi sono di ottima fattura, quindi perché dubitare?
La East Top Blues Harmonica 008k ha dalla sua il prezzo, all’incirca due terzi rispetto a una Hohner Special 20 e ancora meno rispetto a una Marine Band; è completamente smontabile e assemblata a vite, fornita in una custodia di cordura con cerniera, panno per pulirla e sapete cosa? Suona alla grande.

Per chi ha difficoltà col bending, la morbidezza di questa armonica fa sembrare semplici e naturali anche i passaggi complicati, il suono è rotondo e pieno, il volume ottimo. Al momento dubito che si riesca a trovare in commercio un’offerta migliore in termini di rapporto qualità/prezzo. Presa per sostituire la mia vecchia Hohner GLH che mostra marcati e fastidiosi segni di ruggine, credo che a breve verrà affiancata da qualche altra tonalità. E voi? Avete mai provato una East Top?

Succede

Succede che per far crescere il pane in cottura occorra tagliarlo in superficie.

Succede che io usi delle taglientissime lamette giapponesi che sono ormai troppo consumate per la barba ma ancora piuttosto pericolose per le dita.

Succede anche che tu abbia in cantina del susino stavolato basso, stagionato, pronto per realizzare un portalame da fornaio.

Succede, infine, che tu abbia una mezz’ora, un minimo di manualità, un barattolino di cera e olio di cedro della Virginia e una passione per i cetacei di grossa taglia.

Alla fine succede il pane.

Spoonman

Ho i jeans e la camicia di flanella a quadri regolamentare; gli scarponi slacciati scricchiolano sulla ghiaia mentre vado alla macchina e carico la motosega nel bagagliaio. Poi salgo a bordo; accendo la radio, le casse esplodono mentre “Spoonman” dei Soundgarden riempie l’abitacolo e avvio il motore. Mi guardo nello specchietto; evidentemente radersi non è una priorità, anzi, al momento i miei pensieri vanno a una siepe da sistemare, all’amplificatore nel fine settimana, alla legna per il barbecue e a una birra.
È il 1994.
No, sto mentendo: è ieri, e sono passati trent’anni.
Ci sono una famiglia, una figlia, un lavoro abbastanza stabile, una serie di preoccupazioni e un’altra di soddisfazioni.
Ma le camicie e i jeans sono sempre gli stessi, mi godo il sole, i Pearl Jam continuano a fare dischi e forse si può avere vent’anni per sempre, chissà.
Se domani c’è il sole prendo l’accetta e sistemo un po’ di legna; poi suono, cucino, leggo, rifletto su una coscienza ecologica che già mi sento di tradire per opportunismo, o forse no.
Magari mi rado, che domenica è la festa del babbo e le coccole si fanno meglio da lisci.
E fanculo anche ai vent’anni.