Le gallinelle

Quelle giornate in cui sfiletto le gallinelle penso a Fabio Montale; immagino, allora, di avere un cabanon in uno dei calanchi tra La Ciotat e Marsiglia, mi verso un pastis, sgranocchio un pezzo di pane e un’oliva mentre la radio passa Art Pepper; il 51 mette di buon umore, così come il profumo dei capperi e dell’origano racccolto l’estate passata pensando a tempi meno facili, a un dopodomani di momenti più duri, a quando il freddo e gli eventi ti faranno mordere stretto le labbra e la sera lo scotch sembrerà l’unica distrazione.
Fabio potrebbe anche arrivare da un momento all’altro; stapperei un rosé, metterei in tavola erbe di campo, radicchio, crostini di pane tostato e un po’ d’aglio, che fa festa. Sarebbe bello fare due chiacchiere; come se l’estate stesse per scoppiare, come se i giovedì fossero tutti così, con un sax che copre le brutture del mondo e il profumo di pesce e pomodori a scacciarne l’insopportabile fetore.
Ma Montale non è qui. Lui esiste solo nei libri. Il mondo è un gran casino, le notizie peggiorano ogni giorno, lo scotch fa capolino dalla credenza e il futuro sembra inciampare, zoppo e barcollante, senza una meta ben precisa.
Fortuna che ci sono le gallinelle. La tapenade. Il pastis.
Certezze dure da sfiancare.
È così che andiamo avanti; a tastoni, sorridendo, cercando di non inciampare troppo spesso.

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