Adieu.

E’ andata. Quando ti portano via una bici come la mia ti rubano un pezzetto di cuore.
Sono entrati di notte nel palazzo, probabilmente dal portoncino sul retro lasciato aperto; dà su un giardinetto che confina col piazzale di Jed il meccanico. Poi hanno portato via la bici mia e quella di Claudia, la vicina del piano di sopra. La settimana scorsa, a quanto pare, erano già entrati e avevano rubato la bici di un suo coinquilino ma io non sapevo nulla, quindi pensavo ingenuamente che tenerla in un andito col portone principale chiuso a chiave dall’interno fosse più che sufficiente.
Non è tanto il valore effettivo (che comunque immagino superi tranquillamente i millecinquecento euro) quanto quello affettivo, vista la storia della bici, le persone che mi ha fatto conoscere e la dedizione con cui ho recuperato un telaio gettato alla spazzatura facendolo rivivere come ogni bici come quella merita: in strada.
Dubito di rivederla, anche se un telaio come quello oltre a non passare inosservato è punzonato sul canotto reggisella con il nome dell’antico proprietario, DEL VIVO, in lettere maiuscole che sarebbe piuttosto difficile molare via senza distruggere il morsetto.
Spero vivamente che chi l’ha presa ci si spacchi la faccia, visto il pignone fisso e i pedali dentati con le gabbiette aperte. Ma se qualcuno di voi la vedesse in giro me lo faccia sapere; la denuncia l’ho fatta e identificarla sarebbe facilissimo. Gruppo Campagnolo Nuovo Record con corone anteriori da 49 e 44 (solo la 49 è usata), pignone posteriore fisso da 18, freno Miche anteriore, il resto si vede.
Non riesco nemmeno a incazzarmi.
Passerà.
Si vede che quel telaio era destinato a una vita avventurosa.
Addio, e buon viaggio.

Storie di biciclette

A volte le cose più belle arrivano inaspettatamente. Qualche tempo fa mi giunge in mailbox un messaggio di Enrico Fossati, fino ad allora a me totalmente ignoto, e il messaggio parla della mia bici. Lui, mi racconta, sa dirmi di più su Peloso, il telaista di Alessandria che ha costruito il mio telaio e perfino su Brian “The Baron” Smith.
Già.
Perché cercando notizie sul web in merito alla Peloso e alla sua storia non si trova quasi nulla se non un post di Mike Barry in cui si descrive questo misterioso ciclista britannico e se ne raccontano le gesta in sella proprio a bici Peloso.
Un breve scambio di email con Enrico ha tirato fuori dal baule della storia tutta una serie di fatti che altrimenti sarebbero andati perduti con gli ultimi che li hanno vissuti e che pertanto voglio ora raccontarvi con le parole esatte che Enrico ha voluto scrivere per me. E’ una bella storia. Eccovela.
Alessandro,
poter raccontare queste cose mi emoziona. Da dove inizio?

La farò lunga: spero di non annoiarti.
Premetto che già alcuni mesi fa, cercando con Google il nome Peloso ho visto il tuo messaggio sul ritrovamento della vecchia bici. Quando poi mi sono imbattuto nel Blog di Mike Barry sono quasi svenuto: conosco molto bene le bici Peloso e soprattutto conoscevo molto bene “Baron Smith”.

Dunque, nel 69 a 17 anni, mi scoppia la passione della bici da corsa. A casa mia non è che ne girassero tanti, ma mio papà, visti anche gli ottimi risultati a scuola, nella primavera di quell’anno mi da il permesso di andare da Mario Peloso a prendere le misure per la mia nuova bici. Un sogno!

Allora frequentavo l’Istituto per ragionieri in via Trotti ad Alessandria e spesso, nella pausa pranzo facevo un salto in Via Milano, a sbavare, davanti alla vetrina di Mario Peloso, larga quanto una bici. Per un periodo ne ha esposto una rossa che mi faceva letteralmente andare in estasi: con i mozzi record a flange alte da pista e tubolari di seta.
Spesso Peloso non alzava nemmeno la saracinesca perché non voleva rompiballe in negozio: di lavoro ne aveva fin sopra i capelli. Era alto, pelato e grassottello, parlava solo il dialetto alessandrino ma si intendeva a meraviglia con i clienti Russi, Americani, Belgi, Francesi, Inglesi, ecc. che ho spesso incontrato in negozio: una volta ci ho persino incontrato la nazionale dilettanti russa che stava facendosi prendere le misure per ordinare i telai.
Ha fatto telai per Van Stembergen, Kubler ed altri professionisti che non ricordo. Imparò il mestiere alla Maino, una gloriosa firma dell’Alessandrino.
A maggio del 69, Peloso finisce la mia bici e ci accordiamo di vederci una domenica mattina per la regolazione su di me. Alle 9 sono li, mi mette in bici e torno a casa: 35 km da Alessandria a Vignole, senza abbigliamento tecnico, percorsi in un fiato: sulla mia peloso grigio metallizzato con sfumature verdi sul tubo obliquo e piantone sella; guarnitura Campagnolo, pedali Lyotard, mozzi Record Campagnolo, freni Universal, cerchi Nisi, tubolari Clement Criterium, sella Brooks, manubrio TTT.
Da quel giorno, appena potevo, includevo nell’allenamento il negozio di Peloso e me ne stavo ad osservare la costruzione dei telai e l’assemblaggio delle bici. Mario aveva una precisione maniacale: riprendeva in modo brutale il suo operaio Rodolfo, quando assemblava male una ruota o faceva una saldatura non all’altezza.
Finiva le congiunzioni, prima della saldobrasatura come fossero oreficeria. Aveva progettato e fatto da se il banco dima. Aveva un rapporto diretto con Tullio Campagnolo. Ricordo una volta che, rimasto senza parti gli telefonò personalmente e, ogni tanto gli dava pure suggerimenti tecnici.
Con noi ragazzi scherzava sempre ed era prodigo di consigli. Io ero “quel fanciot che studia l’ingles..”
La moglie era un generale della Wermacht. Lavorava in un’altra azienda e di tanto in tanto era in negozio dove stava dietro il banco e teneva la contabilità. La figlia la incontravo all’università di Genova, aveva qualche anno più di me.
Un pomeriggio d’estate del 72, arrivo in negozio per farmi cambiare il cannotto reggisella: da quello in acciaio alla meraviglia Campagnolo a T in alluminio. Mario mi vede e mi dice in dialetto: “..tu che studi l’Inglese, vai di la a parlare con quel ragazzo Inglese che sta montando la sua bicicletta…”.
E io: “ che ci fa un inglese nel suo negozio ad assemblare la sua bici?..”. E Mario, sempre in dialetto..” è così impossibile da soddisfare che ho deciso di mettergli a disposizione tutto e farglielo fare da se…”. E ciò la dice lunga sulle conoscenze tecniche di biciletta del “ragazzo” inglese.
Il laboratorio/negozio aveva la vetrinetta sulla strada ma l’accesso era attraverso uno stretto corridoio che dava su un cortiletto interno in cui erano posizionate le vasche per il decapaggio dei telai appena fatti. Appena entrati nel cortile a sinistra c’era la zona di lavorazione tubi e la saldatura; da questa, scendendo un gradino, si accedeva ad una stanza, con l’illuminazione quasi sempre accesa per via della vetrina chiusa, con il bancone dove si vendevano ricambi di ogni sorta.
Sul cortiletto si affacciavano altre stanze usate per l’assemblaggio di più bici in parallelo che venivano tenute appese a ganci pendenti da corde appese al soffitto. La stanza in fondo fungeva da magazzino ricambi.
In una di queste stanze “Baron Smith” stava assemblando la sua nuova Peloso blu. Non era più proprio un ragazzo aveva 32 anni ed in realtà si chiamava Brian Smith. La moglie era al mare ad Alassio. Ogni anno, dalla fine degli anni 50, vendeva a Londra la bici vecchia e con il ricavato veniva ad Alessandria a farsene fare una nuova di misura rigorosamente decisa da lui e che Peloso realizzava scrupolosamente.
Brian aveva conosciuto Peloso alla fine degli anni 50 durante un viaggio che doveva condurlo, con un amico, da Londra alla riviera ligure, ovviamente in bicicletta. Alle porte di Alessandria uno dei due ha un guasto. Non sanno cosa fare, non parlano l’Italiano.
Un buon samaritano li conduce al negozio di Peloso. Mario non ha il ricambio ma lo fa costruire appositamente da un amico e sistema la bicicletta. Brian, mentre aspetta si guarda intorno e si innamora a prima vista di quelle bici di qualità, aspetto e tecnica infinitamente superiore alla migliore bicicletta inglese dell’epoca.
I due decidono di non proseguire il viaggio per la riviera e si fermano ad Alessandria facendo amicizia con corridori del luogo e partecipando ai loro allenamenti.
E io, che dico a Brian? Nel mio scarno inglese gli dico che l’anno successivo mi sarebbe piaciuto andare in Inghilterra ad imparare l’inglese. Lui, senza esitazione mi dice: “..se vieni in Inghilterra vieni a casa mia…”. Ma come, penso io, questo mi ha appena visto e già mi invita a casa sua? Diffidenti come eravamo noi piemontesi all’epoca, mi pareva impossibile.
L’anno dopo in primavera gli scrivo che, finiti gli esami, sarei andato in Inghilterra pregandolo di suggerirmi qualche college per studiare ed una sistemazione. Senza esitazione mi risponde dicendomi: “ non c’è storia, dimenticati del college perché con noi l’inglese lo impari addirittura meglio e come sistemazione c’è casa mia..”
A metà luglio del 73 prendo un B 727 alla Malpensa e volo a Londra Luton. Brian mi viene a prendere e mi porta a casa sua: primo viaggio da solo e per di più all’estero, chissà dove finirò, penso. Dopo un paio d’ore di viaggio giungiamo a casa sua nel Surrey e mi presenta sua moglie Jenny. Era domenica sera e mi dicono: “..qua c’è la chiave di casa, noi durante la settimana andiamo al lavoro, ah, vieni di la..e mi mostrano una vecchia Peloso grigio metallizzata… “questa è per te, vacci dove vuoi, e qui c’è una carta geografica…”.
Da quell’anno siamo sempre rimasti in contatto. Lui veniva in Italia ed io lo accompagnavo ad assistere qualche gara. Io andavo spesso a Londra per lavoro ed andavo a trovarli. L’anno scorso la moglie e la figlia sono venuti a trovarci, lui no perché ci ha lasciati il 16/1/2011.
Io del soprannome “The Baron”, attribuitogli perché da corridore si presentava sempre alla gare con un’attrezzatura ed un abbigliamento impeccabili, da nobile, non sapevo nulla. L’ho appreso quando la moglie mi ha chiesto di fargli fare una placca in granito, rigorosamente italiano, lui amava tutto quanto era tricolore, da posizionare sulla tomba.
Quando le ho chiesto: “cosa ci faccio incidere? “..oltre alla data di nascita e morte, fagli incidere “The Baron”…” Ed io “..perché?..” E lei mi ha raccontato la storia.
Scrivo tutto ciò perché Brian non venga dimenticato: mi ha cambiato la vita: mi ha trasmesso entusiasmo, mi ha insegnato ad andare in bici, mi ha aiutato molto con l’inglese che sarebbe poi stato determinante nella mia carriera.
Beh, potrei continuare per pagine e pagine ma chiudo qua: ora hai capito perché Baron Smith ha consigliato ad un anglo canadese di andare a farsi fare la bici da Peloso ad Alessandria risultando, come sempre, molto convincente?
Spero di non averti annoiato e ti saluto, ah…dimenticavo, la mia vecchia Peloso è nella nostra vecchia casa in Piemonte ed io, nonostante i capelli bianchi, fin che posso, vado ancora in bici da corsa, ma ora ..su una Bianchi ed una Cinelli.
Tanti saluti.
Enrico

Come dicevo all’inizio, a volte le cose più belle arrivano inaspettate. Fate tesoro delle vostre storie, e raccontatele agli altri. E’ importante che non dimentichiamo.
E mentre ancora cerco notizie su chi fosse in origine il possessore della mia Peloso, il misterioso Del Vivo il cui nome è punzonato sul collarino del canotto reggisella, mi rallegro di averla sistemata e di farla ancora girare in strada. Anzi, sapete una cosa?
Esco.
Ho un appuntamento con un’anziana signora.

Grassroots Straps

Quando giri senza il carter con la catena esposta su una bella guarnitura da 49 è pressoché inevitabile che i tuoi pantaloni, specie la gamba destra, si impiglino o si sporchino irrimediabilmente. A Elena successe di agganciarli tra catena e corona, traforandoli allegramente per poi strapparli in un brandello penzolante. Sarà per questo che quando le ho chiesto di cucirmi degli strap per tenerli fermi non ha esitato a farmeli. E così, con una bella fascia doppia di tessuto per tovaglie e due generose toppe di velcro, ora ho questo nuovo indispensabile accessorio che mi accompagnerà finché il caldo non si farà tanto fastidioso da costringermi ai bermuda.
Certo, non ci farò le tweed ride come dice Marco ma questi quadretti arancioni stile picnic hanno un non so che di terribilmente agricolo. Grassroots ride, ecco cosa faccio io. Una fissa agricola, coi pantaloni puliti, però!

La Peloso – 05 – alpha release

Ecco, ora che avevo tutti i pezzi non ho resistito alla tentazione di montare tutto. Certo, il telaio è da finire di carteggiare e lucidare, ma le ruote si smontano in un secondo quindi non c’è problema. Volevo vedere l’insieme.
E provarla, ovvio; a mezzanotte e mezzo, in bermuda e sandali (quanta strada), senza maglietta.
Fantastica.
Forare la forcella (o meglio alesare il foro esistente) con una punta nuova di zecca e un bel trapano Metabo che sospettavo solo di avere in garage ha richiesto uno sforzo immane: un minuto scarso di lieve pressione. Il freno Miche Performance è eccellente. La sella è comodissima (per quanto visivamente ingombrante, più che altro per via delle molle).
Ora devo pensare al nome.
E a pedalare.

La Peloso – 04

Un work in progress. Quasi completata la finitura del telaio ho iniziato un montaggio temporaneo dei componenti per alcune verifiche. Occorrerà un nuovo canotto reggisella per via del fatto che questo telaio non prevede collarino ma solo una vite con dado a stringere il tubo piantone. Il freno Miche Performance che ho scelto di montare usa una boccola cromata come fissaggio alla forcella ma il foro sulla forcella è troppo stretto, quindi dovrò alesarlo leggermente con una punta da 8mm. La piega corsa, che qui vedete in una posizione non troppo ortodossa, deve essere rivestita con nastro perforato color cuoio che farà coppia con la sella a molle elicoidali in cuoio naturale. Come leve ho scelto una piccola leva freno da ciclocross di quelle che vengono utilizzate come passanti, in modo da avere un comando contenuto e non troppo ingombrante anche dal punto di vista visivo. I cerchi sono in alluminio ad alto profilo (30 mm) con copertoni Vittoria Zaffiro 700×23, leggerissimi. Il posteriore monta un mozzo flip flop pista/strada; non ho montato il meccanismo della ruota libera sul filetto da strada, che non prevedo di usare. L’accoppiata scelta per corona-pignone, inizialmente ipotizzata come 44×17, alla fine è stata invece la 49-18 che offre numerosi vantaggi, tra cui quello di non dover smontare la guarnitura per togliere la corona esterna (quella interna la lascio al suo posto) e quello di avere quasi il doppio di punti di skid, cosa che sarà utile per uniformare l’usura del copertone. Intanto che continuo a testare i componenti ecco un paio di immagini come teaser.

La Peloso – 02

Concluse le operazioni di smontaggio della componentistica è iniziata la fase di ripristino del telaio. Ho cominciato a rimuovere la ruggine e la vernice scoprendo che la sede sterzo è interamente cromata ma solo le congiunzioni sono lisciate e lucidate a specchio mentre sulle parti rimanenti si vede la spazzolatura sottostante dell’acciaio.
Il forcellino di coda ha la punzonatura COLUMBUS, produttore di tubi in acciaio fin dalla fine degli anni ’10. La Colombo realizzava anche gli aerei di Balbo per le trasvolate atlantiche e forniva il materiale alla Caproni, produttrice di aerei storici ai quali si è ispirato anche Miyazaki per l’aereo del suo celebre personaggio Porco Rosso.
Avrò un pezzo di storia, sotto al culo 😉
Sede sterzo sverniciata e pulita quasi completamente

Sede sterzo – retro – con tracce della verniciatura e ben evidenti i segni sull’acciaio del canotto al di sotto della cromatura

Punzone con il logo COLUMBUS sul forcellino di coda

La Peloso

Il telaio, è ufficiale, sarà quello che vedete nelle foto seguenti.
E’ un telaio Peloso, artigianale piemontese degli anni ’70 miracolosamente salvato dall’immondizia. Monta un gruppo Campagnolo Nuovo Record e qualche folle l’ha abbandonato accanto ai cassonetti.
Queste sono le foto di com’era appena trovata. L’operazione di recupero è già iniziata 🙂