[Tales from the railway] – Un altro viaggio – Another commute

Il treno d’estate è impietoso, specie se fai la tirrenica.
E’ impietoso perché le ragazze che vanno al mare e che salgono sul tuo stesso treno hanno vent’anni meno di te e non fanno altro che sorridere; così t’innamori a ogni vagone, e quando scendi e il treno riparte, dietro a ogni finestrino che passa immagini una storia diversa.
E’ biologia, nient’altro; la consapevolezza che, in quanto maschio, non smetterai mai di guardarle, di fantasticare, di credere di avere diciassette anni.
Poi scendono, sempre sorridenti, e ti resta quel vago senso di smarrimento generato dal tuo subconscio che non vuole lasciarti tornare bruscamente alla realtà di un treno rumoroso e puzzolente.
Ti volti verso il finestrino, lasci che il paesaggio scorra veloce.
In sovraimpressione, mentalmente, diapositive che scorrono, volti, occhi, sorrisi, finché non abbuia; le luci prendono il sopravvento, i freni stridono nauseanti.
E’ ora di scendere.

Le donne nelle stazioni – parte seconda

Questo è uno scatto di repertorio, di quasi cinque anni fa.
Nonostante abbia già scritto abbastanza su questo argomento mi piaceva aggiungere che talvolta sono così assorte in chissà quali pensieri da non rendersi conto di nulla. Neanche del fatto che il ragazzo seduto due posti più in là ha intravisto in quella posa e quell’espressione un’inquadratura che a ricrearla in studio forse neanche riuscirebbe. E’ per questo che ti scatta una foto, sai? Perché sa benissimo che quella sarà l’unica occasione. Sa, quantomeno, che non sarà lui a cercare una seconda chance.
Chissà a cosa pensi, chissà cosa ti preoccupa. Ognuno ha delle preoccupazioni, anche una ragazza carina su un treno malmesso che sobbalzando rumorosamente trascina i passeggeri verso sud.
Poi arriva la mia fermata; mi alzo, mi infilo il giaccone, prendo la mia roba e scendo.
Lei è ancora lì, nervosamente assorta nelle sue nuvolose idee.
Buon viaggio.
E buona fortuna.

Le donne nelle stazioni

A marzo pioveva, io continuavo a viaggiare sui treni e girare per le stazioni; le ragazze sui treni chissà com’è sorridono spesso, e di quei sorrisi che ti fanno dimenticare che sta piovendo.
A gennaio, la stessa ragazza filippina che avevo fotografato allora la trovo nuovamente sul treno. E sorride ancora. Ma sono sempre felici, le ragazze sui treni? Mi giro dalla parte opposta e metto a fuoco il riflesso sdoppiato e traslucido sul finestrino, contro il cielo buio e le luci che sfrecciano a lato dei binari; poi, come se stessi fotografando un fantasma, faccio scattare l’otturatore nel tentativo di catturare sulla pellicola quel sorriso piacevolmente irreale.
Mi viene in mente l’ultima volta che ho visto una certa ragazza, Silvia, poco più grande di me, che conoscevo appena. Erano i primi anni di università; lei aveva una gran voglia di parlare, con una lunga gonna leggera e i piedi nudi tirati su, sul sedile, come in un disegno di Arthur Rackam. Sorrideva, anche lei, da farti perdere la testa. E le parole correvano nel frastuono del treno, dell’aria che entrava per dare sollievo a una giornata afosa di luglio, mentre la stavo ad ascoltare rapito dai riccioli appena accennati e dalle caviglie chiare.
E quanto la dice lunga quella canzone di Gianmaria Testa… “le donne nelle stazioni e certe gonne come aquiloni nella tempesta”
Sul treno, chissà com’è, sono sempre felici.

Pentax MX, Fujifilm Neopan 400@1600