Creta. Un diario di viaggio. Quarta parte.

05 – Lissos e Chora Sfakion
Lissos
Ci alziamo e tira il vento. Qui, dove ti trovi ti trovi e da dovunque venga, lo chiamano Meltemi ma per me è un Grecale da cinquanta chilometri all’ora, fresco e teso, che a dire il vero promette bene perché l’intenzione è quella di scavalcare il promontorio e andare alla piccola cala di Lissos, che incidentalmente è riparata dal grecale. Con tre euro al forno ci procuriamo spanakopita e altre cosette di pasta ripiena per il pranzo, poi ci incamminiamo lungo il sentiero che risale la gola il cui inizio è appena dopo l’approdo a ovest del paese. Il sentiero gira bruscamente al di sotto di un’alta parete di roccia aggettante, è letteralmente cosparso di escrementi secchi di capra e inizia a inerpicarsi sul promontorio, tra i pini contorti e la macchia bassa.
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Il sentiero per Lissos
Giunti alla sommità si capisce come il vento qui sia una costante visto che il piccolo altopiano è punteggiato solo da piccoli cespugli e pochi alberi piegati quasi in orizzontale. Il sole picchia forte e grazie al cielo il vento dà un po’ di sollievo ma tenete a mente che in giornate soleggiate e non ventose questo tratto orizzontale può essere piuttosto fastidioso per chi non sopporta il caldo.

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Poi, giunti sull’orlo occidentale dell’altopiano, l’affaccio mostra immediatamente la valle sottostante con la baia e le rovine. Eh già, perché Lissos è anche un’antica città della quale rimangono numerosi resti, tra cui il tempio di Asclepio, un teatro e una necropoli oltre all’impianto di numerose abitazioni. la discesa è agevole e abbastanza breve e si conclude più o meno al tempio di Asclepio dal quale il sentiero torna in piano fino a raggiungere la spiaggia, che è fatta di piccoli ciottoli. L’acqua è meravigliosa, la spiaggia non troppo affollata visto che si raggiunge solo così o con un piccolo servizio di taxi acquatico, e facendo il bagno riesco anche a scorgere un modesto banco di barracuda. Torniamo indietro passando accanto a una piccola chiesa il cui campanile è costituito da una campana appesa a un carrubo e troviamo un posto per mangiare con dei tavoli nei pressi di una fonte, la cui acqua è potabile e fresca.

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Se vi recate a Lissos quindi potete evitare di portarvi dell’acqua perché la troverete sul posto. Dopo un po’ di riposo affrontiamo di nuovo la salita e il percorso inverso fino a Sougia, che raggiungiamo nel pomeriggio, riprendendo l’auto in direzione Chora Sfakion.
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La strada per Chora Sfakion
Ci vogliono tre ore per arrivare ma prima di lasciare il precedente affittacamere avevamo già trovato un’offerta fantastica per l’alloggio, quindi possiamo arrivare in tutta calma poco prima dell’ora di cena. La stanza all’hotel Samaria costa appena 27 euro, è al centro del piccolo paesino e ha un terrazzino che affaccia sul mare permettendo una visione a centottanta gradi di tutta la baia. Non che sia una reggia ma è pulita e confortevole e costa davvero un’inezia; il wifi è disponibile e cambia chiave ogni giorno quindi basta chiedere alla reception. Chora Sfakion, o Sfakia come la chiamano i locali è un modesto villaggio che si sviluppa lungo la riva di una piccola baia; la via che percorre la parte bassa del paese è coperta con del cannicciato sotto al quale ogni hotel e ristorante ha posizionato i tavoli in modo che passeggiando si percorra una specie di galleria e sedendosi si abbia un bell’affaccio sul mare. L’auto possiamo lasciarla all’inizio del paese, di fronte all’ufficio postale, visto che in paese è pressoché impossibile girare in auto. Dopo una rinfrescata ce ne andiamo a cenare alla fine del paese, in un ristorante con un cameriere che parla benissimo l’italiano; sperimentiamo la birra Fix invece della solita Mythos anche se quest’ultima resta migliore e poi ce ne torniamo a dormire. Di fronte al nostro terrazzo il mar Libico si stende scuro e rassicurante; sopra al molo una luna sottile ci dà la buonanotte.

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TIP: Sebbene possiamo pensare che alloggi economici come quelli cretesi non possano offrire grossi servizi, c’è da dire che perlomeno la connessione wireless è presente quasi ovunque. Che diamine, siamo nel terzo millennio. Quindi è decisamente comodo poter cogliere un’offerta per l’alloggio nella patta successiva del viaggio, cosa che può essere fatta solo con un device portatile. Avrete senz’altro tutti uno smartphone; io no, ma da quando il mio piccolo netbook mi ha salvato il culo evitandomi di dormire sotto il viadotto autostradale urbano di Osaka lo porto sempre con me. Pensateci. Una stanza in una posizione come quella di Chora Sfakion a ventisette euro a notte è un’occasione troppo ghiotta per sprecarla; senza contare poi che prenotare di tappa in tappa, cercando una sistemazione nei momenti serali di relax, fa risparmiare tempo prezioso una volta giunti a destinazione che può essere impiegato per vedere qualcosa in più, godersi un’ora di riposo con un ouzo fresco o semplicemente prendere tutto con molto, molto comodo.

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Creta. Un diario di viaggio. Terza parte

03 – Paleochora
La mattina a colazione la radio passa “Felicità”, di Al Bano e Romina. Sempre meglio di quel che sentimmo in Croazia al ristorante (era “La  famiglia dei Gobbon”, per la cronaca) ma vabbè. Partiamo con destinazione Paleochora. La strada passa tra le montagne ed è la stessa che si percorrere per raggiungere Elafonissi; tuttavia noi vogliamo lasciarci questo boccone per gli ultimi giorni sull’isola e quindi ci ritroviamo a percorrerla insieme a qualche auto diretta proprio lì. Giunti poco prima di Topolia abbiamo la sorpresa: la strada è interrotta. Scopriremo solo più tardi che il tunnel di Topolia è crollato e quindi anche l’omonima gola, nota meta turistica, è tagliata fuori.

Poco male; il bivio ci fa passare dalla strada per Milia attraverso un paesaggio bellissimo e montuoso cosparso di timo, cardi spinosi e una gariga simile a quella del mio promontorio (quello di Piombino) nella morfologia anche se non non nella consistenza botanica.

La strada è davvero poco frequentata tanto che incontriamo dei polli che la attraversano e purtroppo anche un tasso, morto da tempo, che la dice lunga anche sulla qualità della guida cretese; comunque raggiungiamo Paleochora con facilità e ci sistemiamo nel peggior affittacamere di tutto il viaggio, con un bagno delle dimensioni di una lavastoviglie occupato centralmente da una colonna; comunque la stanza ha una bella vista sul mare e il golfo.

Lasciati i bagagli ce ne andiamo a pranzare verso Koundoura e dopo pranzo tentiamo un esperimento topografico: pare che ci sia una strada che da Paleochora raggiunge Elafonissi ma il problema consiste nel fatto che sulle carte stradali di Creta certe strade, in genere segnate in giallo, possono essere sia asfaltate che sterrate e l’unico modo per saperlo è percorrerle. Visto che abbiamo voglia di fare un giro affrontiamo quindi la strada fino a Sklavopoula, venti chilometri di curve, per scoprire nell’ordine che: a) Sklavopoula è in pratica un posto dimenticato dagli dei e costituito da circa tre case di cui una è il kafenion, uscito pari pari da un film di sessant’anni fa; b) L’unico essere vivente pare essere una capra; c) la strada che da Sklavopoula raggiunge Elafonissi è una mulattiera troppo stretta per essere percorsa da due veicoli affiancati che si snoda tra colline brulle per circa quindici chilometri e quindi costituisce una sfida fin troppo ardita anche per due come noi. La cosa sarà puntualmente smentita l’ultimo giorno quando invece ci spingeremo in un’impresa che vi lascio pregustare.

Torniamo quindi a Paleochora e ci godiamo un giro in paese. E’ un posto carino, di villeggiatura, punteggiato di negozi e locali che però non danno l’impressione di macchina del turismo. Non è affatto difficile trovare un posto per mangiare ma abbiamo letto che seguendo il lungomare e allontanandosi dal centro si arriva da Methexis, ritenuto da molti il miglior ristorante del paese e in effetti qui mangeremo un ottimo kleftiko di coniglio e un buon agnello arrosto con patate; ci incamminiamo costeggiando i ristoranti quando lo sguardo di Elena incontra una faccia conosciuta; incredibile! E’ Giulia, una ragazza toscana con cui Elena aveva chiacchierato a lungo all’aeroporto in attesa dell’imbarco e che gira Creta coi mezzi pubblici. Ci salutiamo e ci aggiorniamo sulla strada percorsa e i posti già visitati, poi è l’ora di cenare. La cena, come dicevo, non delude anche se dobbiamo prendere posto su una terrazza secondaria perché nel locale c’è una grande cena di matrimonio; tuttavia siamo sempre di fronte al mare e una spesa di diciotto euro in due non può che lasciare soddisfatti. E’ ora di dormire, domani ci spostiamo verso est.
TIP: a Creta non gettate mai la carta igienica nel WC. In moltissimi bagni troverete un adesivo e una scritta a ricordarvelo ma anche dove non ci fosse noterete sempre una minuscola pattumiera accanto alla tazza. Non chiedetemi perché, non voglio immaginare quanto strette siano le tubazioni di scarico né dove e come scarichino, fatto sta che la carta sporca va nel cestino e se non vi piace l’idea (igienicissima eh?) di tenerla in bagno a profumare l’ambiente purtroppo questa è la triste realtà.
04 – Sougia
La colazione a Paleochora si fa al bar, visto che non c’è quasi nessuno e che ci sono dei fantastici tavoli in strada lungo il corso pedonale, neanche fossimo a Parigi. Tutto sommato Paleochora non è male se si ha in mente una vacanza di relax ma si sa, noi non ci riusciamo, quindi si parte per Sougia. Il vento soffia deciso e solleva la polvere; per strada, neanche a farlo apposta, si sentono i Kansas che suonano “Dust in the wind”. La strada si inerpica per costoni boscosi, con scorci improvvisi e altrettanto improvvise brusche svolte; lungo il tragitto ci imbattiamo in un cartello che indica le rovine di Hyrtakina. Al nome non sembrerebbe una cosa troppo riposante ma sulla carta sembra brevissimo e le deviazioni ci sono sempre piaciute quindi, imboccata una stradina secondaria, arriviamo a una minuscola chiesetta ortodossa, Ieros Naos Christou Sotiros, dove ci fermiamo qualche minuto prima di affrontare una pessima strada sterrata e profondamente solcata che condurrebbe alle rovine.

Dico condurrebbe perché in meno di un chilometro ci ritroviamo la strada sbarrata di netto da una rete metallica per edilizia messa lì da un pastore che ha deciso di adibire la strada a recinto e magazzino. Ok, non è che abbia bloccato l’autostrada ma comunque si tratta di una strada pubblica! Fatto sta che le rovine di Hyrtakina non le vedremo mai.

Proseguiamo per Sougia dove arriviamo in breve tempo alloggiando di fronte alla passeggiata lungo il mare da un’affittacamere consigliata in diversi racconti di viaggio e con la quale occorre questionare un po’ per il prezzo che, sì, è un po’ fuori standard ma pur sempre molto basso. Ora non abbiamo che da comprare qualcosa da mangiare (qualche spanopita) al piccolo ma fornito negozio di alimentari e poi dirigerci lungo la spiaggia, ampia e lunga, per raggiungerne l’estremità orientale.

Da lì un brevissimo tratto tra gli scogli con l’acqua alla vita porta in una seconda cala assolutamente fantastica. Come in ogni parte dell’isola, i posti migliori sono i meno accessibili, i più frequentati da naturisti e anche i più tranquilli, ragion per cui se non avete problema a togliervi il costume (o anche no, visto che nessuno se ne farà un problema se voi preferite tenerlo) e condividere piccoli meravigliosi angoli con persone nude, è senz’altro e inequivocabilmente la scelta da fare. In questa seconda cala, sormontata da un’enorme roccia a pinna di squalo, l’acqua è cristallina, c’è un grande e alto scoglio dal quale tuffarsi e sotto al quale i pesci nuotano in abbondanza in un fondale di circa sei metri; è qui che mi accorgo per la prima volta di un fenomeno curioso. Per un attimo, appena immerso, credevo di avere gli occhialini appannati; per quanto li pulissi, però, la vista era sempre annebbiata e l’acqua piuttosto fresca. Come per magia però, scendendo appena di un metro sott’acqua, la visibilità tornava perfetta e la temperatura dell’acqua era più gradevole. Il fenomeno, l’avrei scoperto poi informandomi su Glyka Nera (di cui parlerò più avanti) è dovuto al fatto che la falda di acqua dolce e fredda sgorga direttamente al livello del mare. Quest’acqua, che dovrebbe scendere sul fondo per la temperatura, stenta a farlo per via della differente densità e si mescola a stento con l’acqua di mare generando, in superficie, un effetto simile a quello di quando sciogliamo dello zucchero in un bicchiere d’acqua. Per questo credevo di avere le traveggole immergendomi e per questo nuotare in superficie e vicino a riva è meno piacevole (per il freddo) che nuotare più al largo e immergendosi, proprio al contrario di quello che succede normalmente! Comunque il mare è splendido e dopo un pomeriggio in spiaggia torniamo in camera a cambiarci; poi, prima di cena, ce ne andiamo a goderci l’ultima luce alla chiesetta di Agia Irini, proprio sopra Sougia, all’esterno della quale c’è una piccola terrazza panoramica sulla costa.

Per cena, nonostante i suggerimenti di guide e diari, scegliamo una taverna un po’ defilata, Polyfimos, che ha un grande spazio esterno coperto a pergola, e la scelta non avrebbe potuto essere più azzeccata; sulla voce di Eleni Tsaligopoulou mangiamo saganaki (formaggio fritto in pastella), koutsouvlatiko (maiale marinato arrostito) e costolette di agnello grigliate, prima di tornare a goderci il nostro letto.

TIP:  Facendo colazione al bar potreste scoprire che se una cena per due costa diciotto euro, una banale colazione (toast + caffè) ne costa quasi dieci. E’ così ovunque. Quindi quando cercate un alloggio è meglio se ha la colazione inclusa, altrimenti le spese lievitano non poco. L’alternativa è evitare la colazione al bar e prendere qualcosa in un forno.