Just like Ueno

sushi

Esattamente sei anni fa passeggiavo per le strade di Ueno, il quartiere popolare di Tōkyō, e ogni anno quando arriva novembre non faccio che girarmi in qua e in là per guardare le foglie sugli alberi, pensando che a pranzo, col freddo che ormai è arrivato, una bella ciotola bollente di udon non sarebbe poi male. Così oggi, in pausa pranzo, giusto per alimentare questa specie di nostalgia sognante, ho deciso di fare qualcosa di tipicamente giapponese: comprarmi il bentō al supermarket. Certo, non è un piccolo konbini e la birra che ci bevo insieme non è una Asahi ma concettualmente è davvero tutto perfetto. Mangiare fuori casa, il sushi spogliato di quella costosa sacralità che noi gaijin riteniamo necessaria per poterlo considerare buono, l’accoppiata classica con una birra o con l’acqua fredda e non con bevande assurdamente esotiche come un sake, tutto questo è così giapponese. E piccole sciocchezze come il contenitore per la shōyu a forma di pesce esattamente come trovereste laggiù o su un volo della JAL, mangiare su una panchina sotto platani attentamente potati ad ombrello e coreografati con bastoni di legno a dare il giusto verso a ciascun ramo, rendono un pranzo di un quarto d’ora simile a una macchina spazio-tempo.
Basta poco.
È che noi, quaggiù, mitizziamo tutto; l’esatto contrario dell’approccio giapponese, che fa dell’ordinario la massima straordinarietà.
Come un pezzetto di pesce su un pugnetto di riso. 
Exactly six years ago I was walking through Ueno streets, in Tōkyō’s working class district, and every year when November comes I turn my head around looking at the leaves on the trees, thinking that in this cold weather I wouldn’t dislike a hot bowl of udon. So today, at lunck break, just to feed this sort of dreamy nostalgia, I decided to do something tipically Japanese: buying my bentō at the supermarket. Sure, t ain’t a small konbini and the beer I drink with it is not an Asahi but everything is really conceptually perfect. Having my lunch out, that sushi deprived of that expensive sacredness that we gaijin believe to be necessary to be able and rate it good, the classic pair with a beer or cold water and not with weirdly exotic drinks like sake, all this is so Japanese. And little trifles like the small fish-shaped shōyu bottle as you can find there or on board of a JAL flight,having lunch on a bench under carefully pruned plane trees which someone arranged with wooden sticks to direct each single branch, transform a fifteen minutes lunch in a space-time machine.
It’s enough.
The fact is that we, here, idealize everything; the exact opposite of  the Japanese approach, which finds the greatest uniqueness into the ordinary.
Just like a bit of fish on top of a handful of rice.

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Brexit

Di Drawn by User:Caomhan27 - Opera propria based on publicly-available information, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28135701

Non si parla che di Brexit in questi giorni.
A me viene in mente che i simpatici amici Inglesi, se tanto vogliono fare il Giappone europeo e ritirarsi nella loro bella isola, prendendo le distanze dal resto del mondo, potrebbero innanzitutto cominciare vendendo le loro belle case di Cefalonia e lasciando l’isola ai greci.  Abbandonando il “Chiantishire”, che già ne avevamo abbastanza di spocchia nostrana. Oppure restituendo quei due terzi dell’Ulster agli irlandesi,;

perché l’Europa farà anche schifo ma a quanto pare qualche pezzetto in quà e in là si può anche prendere fischiettando e sbattendosene un po’ di tutto, cultura, lingua e religione comprese.
E mi tornano in mente quelle strofe di una vecchia ballata, “Young Ned of the hill”, che ogni tanto bisogna ascoltare a volume sostenuto.

A curse upon you Oliver Cromwell
you who raped our Motherland
I hope you’re rotting down in hell
for the horrors that you sent
to our misfortunate forefathers
whom you robbed of their birthright
“To hell or Connaught” may you burn in hell tonight

Picture by User:Caomhan27 – Opera propria based on publicly-available information, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28135701

 

Piombino città di confine

Viviamo da sempre in una città di confine. Piombino è l’ultimo comune a sud della provincia di Livorno e Torre Mozza costituisce il confine con la provincia di Grosseto. Non parliamo con l’accento livornese ma al contempo la nostra calata è già molto diversa da come parlano a Follonica, nei modi di dire, nelle interiezioni, nella pronuncia stessa delle C e dei GL per esempio.
Geologicamente rappresentiamo, col promontorio, una propaggine continentale dell’Appennino, distaccatasi dalla catena principale in tempi remoti e differenziatasi poi per successive formazioni vulcaniche, quelle che hanno dato origine al promontorio di Punta Falcone. Botanicamente veniamo spesso citati come il punto più a nord in cui cresca spontaneamente la Chamaerops Humilis, comunemente conosciuta come “palma nana” (eccettuate alcune minuscole enclave liguri).
Ma se foste d’estate a Baratti, a godervi un bagno ristoratore in una giornata afosa, sapreste dire in che mare vi state bagnando?
La risposta, per quanto strana possa apparire, è “nel Mar Ligure”.
Punta Falcone, infatti, rappresenta geomorfologicamente parlando lo spartiacque tra i due bacini del Mar Ligure e del Mar Tirreno. Quest’ultimo che ha come ingresso a nord il Canale di Piombino, e il primo circoscritto idealmente dalla costa ligure, la Corsica, la costa settentrionale dell’Elba e la costa toscana a nord della nostra città.
Certo, nell’uso comune si tende a chiamare Tirreno tutto il mare fino a Bocca di Magra, ed è innegabile che il principale quotidiano labronico si chiami “Il Tirreno”, ma si tratta in effetti di una convenzione comune che tende a limitare alle coste liguri i confini del mare omonimo.
La prossima volta che dovrete scegliere dove andare al mare ricordatelo: avrete l’imbarazzo della scelta. 

Il descrittore dello spazio e la palla di sterco

Se a ferragosto hai la febbre e sei costretto a letto che c’è di meglio di mettersi a elaborare bizzarri descrittori dello spazio?
Solo, a letto, in un letto che per la precisione non è neanche il mio, me ne stavo a pensare che qualsiasi oggetto reale potrebbe essere rappresentato efficacemente come un agglomerato di cubi di spigolo variabile nell’insieme dei reali, utilizzando come descrittore per ciascun cubo una stringa di quattro valori dove i primi tre rappresentano la posizione nello spazio dello spigolo più vicino all’origine e il terzo, banalmente, la lunghezza positiva dello spigolo; è così che, immaginavo, ogni oggetto fisico può essere approssimato a un insieme di cubi di spigolo variabile i cui descrittori vettoriali definiscono una matrice 4 x n dove pertanto n può essere interpretato alternativamente come misura dell’approssimazione scelta (maggiore è n, più alto è il numero di cubi e conseguentemente migliore l’approssimazione della realtà) o semplicemente della complessità dell’oggetto (più cubi vengono usati, maggiore è la necessità che ha portato a utilizzarli).
Di fatto si tratta della trasposizione su modello matriciale dei mattoncini Lego, con lo svantaggio di poter disporre solo di mattoncini cubici ma il grosso vantaggio di poterne variare la dimensione a piacimento, anche di valori frazionari.
Altro fatto interessante è che la matrice descrittiva di un oggetto vanta un’invidiabile comprimibilità dei dati, se si guarda agli algoritmi di compressione.
A questo punto, visto che quando uno è malato si dovrebbe riposare, stavo giusto passando ad apportare qualche lieve modifica, come quella di utilizzare stringhe di cinque valori per inserire un fattore moltiplicativo e di fatto semplificare le matrici risultanti per oggetti molto complessi (insomma, per dire che il cubo  appena descritto venisse replicato m volte, per esempio) quando mi hanno svegliato per portarmi un bicchiere d’acqua col limone.
L’acqua col limone rinfresca, è piacevole.
Ho provato timidamente a illustrare quest’idea ma l’espressione di Elena tradiva inequivocabilmente il pensiero “chiamo la neurodeliri”, immediatamente seguito da “lo soffoco col cuscino”.
Ecco, quasi quasi invidio quando ero piccolo.
Da piccolo quando avevo la febbre e stavo male sognavo di trasmigrare attraverso i piani di un palazzo, attraversare le stanze salendo verso l’alto; quando stavo proprio male, nella stanza trovavo un’enorme palla di sterco.
Non so, secondo voi cosa è preferibile?
Dall’influenza sono guarito.
Dal resto temo di non riuscirci più…

Latenza – Latency

La mia e’ alta, terribilmente alta. L’ultimo post risale quasi allo scorso anno, sono stato assorbito, oltre che dal lavoro, dagli altri due weblog, dalla questione Microsoft – Yahoo, dal rientro in Facebook che come social network mi pare almeno ai limiti della decenza e dalla mia vita privata.
Ouff… ce la faremo anche stavolta!

mine is high, terribly high. My last post dates back almost to last year, I have been caught in the middle of work, my other two weblogs, the Microsoft – Yahoo debate, the reentry into Facebook which, as a social network, I repute at least decent, and my private life at last.
Ouff… We’ll succeed again!

Pentax MX

Eccola! Finalmente! L’ennesimo acquisto su Ebay, l’ennesima macchina fotografica. Non l’avrei mai comprata se non fossi riuscito a riparare la 5700, ma a questo punto che dovevo fare? Mi meritavo un premio, no?
E quindi, a un prezzo stracciato, ecco la piu’ piccola reflex manuale al mondo, indistruttibile, bella, pratica, leggera.
E con l’attacco Pentax trovare del vetro non sara’ una grande impresa…!

Here it is! Finally! Another Ebay purchase, another camera. I would never have bought it if I wasn’t able to fix my 5700, but what was I supposed to do, then? I deserved a prize, ain’t it?
So, for a damn cheap price, here’s the smallest fully manual SLR in the world, indestructable, gorgeous, practical, light.
And with the Pentax K-mount it won’t be so difficult to find some glass…!

Plastic


Ecco un’immagine dello stupido pezzetto di plastica che si era incastrato tra gli ingranaggi della mia macchina fotografica. A fianco c’e’ il cacciavite di precisione che ho usato per arrivarci…
stupida plastica.

This is a picture of the little stupid plastic bit that got stuck in the middle of my camera’s gears. On its side you may see the precision screwdriver I used to get down to it…
stupid plastic.

5700


Eccola, durante l’operazione della scorsa notte. Marco e Valerio mi davano per matto; io ho tolto una trentina di viti, qualche connettore in flat cable, il gruppo ottico, e ho rimosso un pezzetto di plastica da 1 mm3, parte non esattamente essenziale dell’obiettivo, per cui ora funziona di nuovo, finche’ vorra’.
Non sono matto, sono solo molto paziente (e forse un po’ autistico).

Here it is, during last night fix. Marco and Valerio told me I was a fool; I removed around thirty screws, some flat cable connectors, the lens unit and removed a tiny 1 mm3 plastic bit, a not-so-essential part of the lens barrel, so it works again , as long as it will.
I’m not mad, just very patient (and maybe a little autistic).