A goat in Sklavopoula, a forgotten place.
Crete, 2013
Categoria: Creta
Creta. Un diario di viaggio. Quarta parte.
Dalla finestra del’Athinaikon
Linee elettriche, Chania, Creta
Athinaikon Hotel, Heraklion, Creta
C’è posta per te
Trebbia
Creta. Un diario di viaggio. Terza parte
Poco male; il bivio ci fa passare dalla strada per Milia attraverso un paesaggio bellissimo e montuoso cosparso di timo, cardi spinosi e una gariga simile a quella del mio promontorio (quello di Piombino) nella morfologia anche se non non nella consistenza botanica.
La strada è davvero poco frequentata tanto che incontriamo dei polli che la attraversano e purtroppo anche un tasso, morto da tempo, che la dice lunga anche sulla qualità della guida cretese; comunque raggiungiamo Paleochora con facilità e ci sistemiamo nel peggior affittacamere di tutto il viaggio, con un bagno delle dimensioni di una lavastoviglie occupato centralmente da una colonna; comunque la stanza ha una bella vista sul mare e il golfo.
Lasciati i bagagli ce ne andiamo a pranzare verso Koundoura e dopo pranzo tentiamo un esperimento topografico: pare che ci sia una strada che da Paleochora raggiunge Elafonissi ma il problema consiste nel fatto che sulle carte stradali di Creta certe strade, in genere segnate in giallo, possono essere sia asfaltate che sterrate e l’unico modo per saperlo è percorrerle. Visto che abbiamo voglia di fare un giro affrontiamo quindi la strada fino a Sklavopoula, venti chilometri di curve, per scoprire nell’ordine che: a) Sklavopoula è in pratica un posto dimenticato dagli dei e costituito da circa tre case di cui una è il kafenion, uscito pari pari da un film di sessant’anni fa; b) L’unico essere vivente pare essere una capra; c) la strada che da Sklavopoula raggiunge Elafonissi è una mulattiera troppo stretta per essere percorsa da due veicoli affiancati che si snoda tra colline brulle per circa quindici chilometri e quindi costituisce una sfida fin troppo ardita anche per due come noi. La cosa sarà puntualmente smentita l’ultimo giorno quando invece ci spingeremo in un’impresa che vi lascio pregustare.
Dico condurrebbe perché in meno di un chilometro ci ritroviamo la strada sbarrata di netto da una rete metallica per edilizia messa lì da un pastore che ha deciso di adibire la strada a recinto e magazzino. Ok, non è che abbia bloccato l’autostrada ma comunque si tratta di una strada pubblica! Fatto sta che le rovine di Hyrtakina non le vedremo mai.
Proseguiamo per Sougia dove arriviamo in breve tempo alloggiando di fronte alla passeggiata lungo il mare da un’affittacamere consigliata in diversi racconti di viaggio e con la quale occorre questionare un po’ per il prezzo che, sì, è un po’ fuori standard ma pur sempre molto basso. Ora non abbiamo che da comprare qualcosa da mangiare (qualche spanopita) al piccolo ma fornito negozio di alimentari e poi dirigerci lungo la spiaggia, ampia e lunga, per raggiungerne l’estremità orientale.
Da lì un brevissimo tratto tra gli scogli con l’acqua alla vita porta in una seconda cala assolutamente fantastica. Come in ogni parte dell’isola, i posti migliori sono i meno accessibili, i più frequentati da naturisti e anche i più tranquilli, ragion per cui se non avete problema a togliervi il costume (o anche no, visto che nessuno se ne farà un problema se voi preferite tenerlo) e condividere piccoli meravigliosi angoli con persone nude, è senz’altro e inequivocabilmente la scelta da fare. In questa seconda cala, sormontata da un’enorme roccia a pinna di squalo, l’acqua è cristallina, c’è un grande e alto scoglio dal quale tuffarsi e sotto al quale i pesci nuotano in abbondanza in un fondale di circa sei metri; è qui che mi accorgo per la prima volta di un fenomeno curioso. Per un attimo, appena immerso, credevo di avere gli occhialini appannati; per quanto li pulissi, però, la vista era sempre annebbiata e l’acqua piuttosto fresca. Come per magia però, scendendo appena di un metro sott’acqua, la visibilità tornava perfetta e la temperatura dell’acqua era più gradevole. Il fenomeno, l’avrei scoperto poi informandomi su Glyka Nera (di cui parlerò più avanti) è dovuto al fatto che la falda di acqua dolce e fredda sgorga direttamente al livello del mare. Quest’acqua, che dovrebbe scendere sul fondo per la temperatura, stenta a farlo per via della differente densità e si mescola a stento con l’acqua di mare generando, in superficie, un effetto simile a quello di quando sciogliamo dello zucchero in un bicchiere d’acqua. Per questo credevo di avere le traveggole immergendomi e per questo nuotare in superficie e vicino a riva è meno piacevole (per il freddo) che nuotare più al largo e immergendosi, proprio al contrario di quello che succede normalmente! Comunque il mare è splendido e dopo un pomeriggio in spiaggia torniamo in camera a cambiarci; poi, prima di cena, ce ne andiamo a goderci l’ultima luce alla chiesetta di Agia Irini, proprio sopra Sougia, all’esterno della quale c’è una piccola terrazza panoramica sulla costa.
Per cena, nonostante i suggerimenti di guide e diari, scegliamo una taverna un po’ defilata, Polyfimos, che ha un grande spazio esterno coperto a pergola, e la scelta non avrebbe potuto essere più azzeccata; sulla voce di Eleni Tsaligopoulou mangiamo saganaki (formaggio fritto in pastella), koutsouvlatiko (maiale marinato arrostito) e costolette di agnello grigliate, prima di tornare a goderci il nostro letto.